Nel contesto organizzativo, spesso, le decisioni prese si ripercuotono su più gruppi interni che hanno prospettive, priorità e obiettivi molto diversi tra loro. Questo può generare l’insorgenza di tensioni e contrapposizioni tra i gruppi stessi. Un problema centrale, perciò, è come il conflitto di interessi possa essere gestito in modo costruttivo e tale da ridurre al minimo i danni.
Uno dei primi modelli sviluppati, e ancora oggi molto utilizzato per gestire correttamente la disputa sul luogo di lavoro, è quello della “doppia preoccupazione” di Blake e Mouton (1964). Il lavoro di questi autori considera il diverso stile individuale di gestione del conflitto, il quale è il prodotto di due variabili di personalità piuttosto indipendenti fra di loro: la preoccupazione per sé e quella per gli altri. A seconda del peso maggiore che viene dato all’una o all’altra preoccupazione, si originano quattro output comportamentali differenti:
- Inerzia: risultato di una scarsa attenzione sia per i propri esiti che per quelli degli altri;
- Concessioni: risultato di una scarsa preoccupazione per i propri esiti ed un’elevata preoccupazione per gli esiti altrui;
- Contesa: risultato di un’alta preoccupazione per i propri esiti ed una scarsa preoccupazione per gli esiti degli altri;
- Risoluzione dei problemi: risultato di un’alta preoccupazione sia per i propri esiti che per quelli degli altri – che è quella auspicata per ottenere il massimo risultato per tutte le parti coinvolte.
La prospettiva di Blake e Mouton, pur riuscendo a fornire ai mediatori un valido strumento per comprendere il conflitto e gestire il processo di negoziazione, presenta il limite fondamentale di non tenere in considerazione il contesto relazionale. Gli individui, specialmente quando vivono all’interno di realtà complesse come le organizzazioni, non agiscono soltanto come soggetti a se stanti, ma si identificano, ad esempio, come membri del proprio dipartimento aziendale. Questo li porta a condividere caratteristiche, valori e obiettivi con altre persone che sentono vicine, dando forma a una vera e propria identità sociale (Tajfel, 1974). Se tali gruppi si sentono minacciati delle esigenze dell’outgroup (ad esempio dai membri di un altro dipartimento), il conflitto che scaturisce non è più solo frutto di punti di vista diversi, ma viene percepito come una vera e propria minaccia alla propria identità. L’obiettivo delle negoziazioni, che in origine è quello di raggiungere un accordo integrativo (win-win) capace di considerare le esigenze di tutti, diventa anche quello di risolvere il conflitto tra gruppi, inasprendo ulteriormente la diatriba e rendendo più complessa la risoluzione.
Secondo Gartner e colleghi (1996) la chiave per negoziare passa proprio dalla “ricategorizzazione”: tale processo fa leva sulla dimensione dell’identità di gruppo per far sì che le rappresentazioni cognitive dei membri dei gruppi in conflitto passi da un «noi» vs «loro» ad un più inclusivo «noi», aumentando l’attrattività reciproca e la collaborazione. Una negoziazione produttiva, quindi, si verifica quando le parti riconoscono l’esistenza di un’identità sovraordinata comune (ad esempio quella di dipendente di una realtà aziendale alla quale appartengono tutti i dipartimenti) che favorisce la comprensione del punto di vista dell’altro e la possibilità di trovare una soluzione integrativa. Tale identità sovraordinata getta le basi per la buona riuscita della negoziazione perché permette, riprendendo i termini della teoria di Blake e Mouton (1964), di preoccuparsi degli esiti per l’altro in maniera analoga a quelli per il sé, proprio perché l’altro è percepito come qualcuno con prospettive, priorità e obiettivi simili ai propri.
Risulta tuttavia necessario precisare come l’esito della negoziazione non dipenda solamente dalla ricategorizzazione del sé da membro di un sottogruppo (ad esempio impiegato di uno specifico dipartimento dell’azienda) a membro di un’entità sovraordinata (ad esempio lavoratore dell’azienda in generale), ma anche dall’importanza che l’individuo attribuisce al sottogruppo e al macrogruppo. Infatti, a seconda della salienza attribuita, il processo di negoziazione può avere diversi esiti:
- disponibilità collusiva a concessioni: quando l’identità sovraordinata risulta essere molto saliente, mentre quella del sottogruppo risulta essere bassa;
- inazione: quando l’identità del sottogruppo e quella del gruppo sovraordinato sono entrambe poco salienti;
- contesa: quando l’identità del sottogruppo è saliente, mentre quella del gruppo sovraordinato non lo è;
- risoluzione integrativa di problemi: partendo dalla situazione di contesa, è necessario incrementare il senso di appartenenza al gruppo sovraordinato e avere elevata salienza, sia per l’identità sovraordinata, che per quella subordinata.
Per promuovere un’identità organizzativa sovraordinata forte e stabile, è fondamentale che le imprese favoriscano una condivisione di valori, obiettivi ed esperienze al fine di implementare questo senso di unità all’interno della complessità aziendale. Per fare ciò, è fondamentale investire nelle persone: lavorare sull’engagement aziendale, sviluppare un’identità sociale più inclusiva creando opportunità di incontro tra persone che lavorano in dipartimenti diversi (ad esempio sale comuni di ristoro o eventi aziendali), e implementare percorsi formativi incentrati, ad esempio, sull’intelligenza emotiva e sulla consapevolezza dell’altro. Per creare momenti di convivialità tra persone che non lavorano a stretto contatto o nel medesimo dipartimento, è possibile sfruttare le risorse tecnologiche, ad esempio organizzando aperitivi in videochiamata per i propri dipendenti.
Le organizzazioni, hanno un ruolo fondamentale nel promuovere un’identità comune capace di far fronte alle differenze interne e nello spronare le persone a superare le difficoltà in maniera sinergica e compatta.
Lorenzo Dal Cin, Nicola Testa
Bibliografia
Haslam, A. S. (2015). Psicologia delle organizzazioni. Maggioli Editore.