La maternità e la paternità sono temi molto discussi nel nostro Paese, soprattutto recentemente. A settembre, infatti, l’onorevole Lia Quartapelle ha avanzato una proposta di legge per aumentare il periodo del congedo di paternità.
Perché se ne parla sempre di più?
Per due motivi principali, apparentemente contrapposti ma allo stesso tempo collegati: il basso tasso di natalità e la rivalutazione dei ruoli (e degli stereotipi) di genere.
Gli aspetti appena citati, inoltre, sono direttamente collegati al mondo del lavoro. In che modo? Lavorare è essenziale per la nostra vita, ma spesso risulta motivo di ostacolo per chi vuole avere figli.
Tortuga – think-tank di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell’economia e delle scienze sociali – con il suo nuovo report 2024 ha approfondito l’argomento. In particolare, il report si concentra sul rapporto tra congedi di paternità estesi dalle aziende e i benefici che ne sono conseguiti.
Per capire meglio come sono legati congedi, diritti e natalità – e individuare le aree di miglioramento – è bene iniziare facendo una panoramica della situazione in Italia.
Il contesto italiano: la situazione attuale tra maternità e paternità
La risposta alla domanda “perché non si fanno più figli?” è molto complessa, e include aspetti economici, sociali e relativi alla situazione di instabilità globale, sia da un punto di vista ambientale che politico.
In Italia il numero di coppie che decidono di avere figli diminuisce sempre di più. Quest’anno, infatti, il tasso di fecondità si aggira intorno all’1,3%, percentuale molto al di sotto del 2,1% necessario al mantenimento della popolazione.
Il dato riflette sia la crisi economica – con gli stipendi che hanno un potere d’acquisto non sufficiente al costo della vita – sia la disuguaglianza di genere. Le donne, ancora oggi, lavorano molto meno degli uomini: il divario occupazionale è di circa 16/17 punti percentuali.
Questo accade perché i ruoli e i compiti non sono ancora divisi equamente all’interno delle famiglie. In media, infatti, le donne si occupano molto di più dei figli e della casa rispetto agli uomini. La diseguaglianza ha radici profonde e parte innanzitutto da come la società percepisce le donne, viste tutt’oggi come le figure di riferimento per la crescita dei figli.
Tutto questo si riflette, di conseguenza, sulla legislazione e sui congedi parentali, molto diversi per madri e padri.
Congedo di maternità in Italia
Nel nostro Paese il congedo di maternità obbligatoria ha una durata complessiva di cinque mesi, con due possibili opzioni per la distribuzione dei giorni:
- distribuzione classica: prevede due mesi di congedo prima della data presunta del parto e tre mesi successivi alla nascita;
- opzione flessibile: in alcuni casi, le lavoratrici possono scegliere di lavorare fino a un mese prima del parto e prendere quattro mesi di congedo successivi alla nascita.
Durante questo periodo le lavoratrici non ricevono il 100% del loro stipendio, ma solo l’80%.
Sebbene il 18% delle donne non rientri dal periodo di maternità per continuare a badare al nuovo nato, la normativa italiana fornisce diverse protezioni per le lavoratrici durante la maternità. Le più importanti sono il divieto di licenziamento, il diritto al rientro e il congedo parentale aggiuntivo (che comporta, però, un’ulteriore riduzione di stipendio).
Congedo di paternità in Italia
Il congedo di paternità ha una durata decisamente inferiore rispetto ai 5 mesi di maternità. Il periodo di congedo previsto per i padri è infatti solo di 10 giorni lavorativi, che il padre deve prendere entro i primi cinque mesi di vita del bambino.
Durante questo congedo, i padri ricevono un’indennità pari al 100% della retribuzione. Oltre al congedo obbligatorio, il padre può richiedere il congedo parentale facoltativo che può condividere con l’altro genitore, della durata di massimo 10 mesi (elevabile a 11 se il padre ne prende almeno 3). Il congedo parentale, però, prevede una retribuzione di solo il 30% dello stipendio, salvo miglioramenti previsti dal contratto di categoria.
Negli ultimi anni, il congedo di paternità ha subito importanti evoluzioni. Sono aumentate la durata del congedo, i diritti e le tutele, ma è chiaro che il gap rispetto al congedo di maternità sia ancora troppo ampio.
Le differenze sostanziali tra i congedi sono nella durata – 10 giorni contro 5 mesi -, nella retribuzione – alle donne viene dato solo l’80% dello stipendio, a scendere se si vuole prolungare il congedo – e nella tutela – il padre non è obbligato ad astenersi dal lavoro, la madre sì.
Dati i cambiamenti socio-culturali della nostra società appare però necessario un cambiamento, o – per lo meno – una riflessione su questa disparità. È su questo che si focalizza il report di Tortuga, che si pone l’obiettivo di capire se l’estensione del congedo da parte delle aziende ha aiutato i padri (ma soprattutto le madri) durante questo periodo, e in che modo questa estensione ha impattato le loro vite.
Principali risultati del report su maternità e paternità
Visto il periodo brevissimo concesso ai padri per restare a casa, molte aziende hanno deciso di estendere la durata del congedo di paternità. Tortuga ha sia intervistato le risorse umane di queste aziende sia i dipendenti che hanno usufruito di questo benefit.
Questo tipo di politica aziendale è molto recente, infatti tutte le aziende l’hanno introdotta dopo la pandemia di Covid-19. La durata e la modalità di utilizzo differiscono sostanzialmente da azienda ad azienda. Il massimo concesso è di 26 settimane aggiuntive rispetto alla politica nazionale (corrispondenti a quasi 6 mesi). Sia dipendenti che aziende si dichiarano molto soddisfatti di questa possibilità, accolta con molto entusiasmo.
I dipendenti che hanno aderito all’iniziativa sono stati la maggioranza (71%) e sono, in percentuale, molti di più di coloro che usufruiscono del congedo parentale dell’INPS. Sono soprattutto i padri più giovani ad usufruirne (75% tra i 30 e i 39 anni, 65% tra i 40 e i 49 anni) insieme a coloro che non possono fare smart working e coloro che sono meno conformi agli stereotipi di genere tradizionali.
I motivi dell’adesione e della non adesione
La motivazione principale per cui i padri decidono di estendere il proprio congedo è per stare più vicini alla loro famiglia. Altre motivazioni sono il supporto alla compagna (87%) e il voler essere presenti fin da subito nella vita del bambino (81%).
Chi non usufruisce di tutti i giorni messi a disposizione dall’azienda lo fa principalmente per pressioni lavorative. Pressioni che includono il carico di lavoro (45%), il non utilizzo del congedo da parte di alcuni colleghi (55%) e la paura di un declino della carriera lavorativa (45%).
Le motivazioni sono pressoché le stesse per coloro che non usufruiscono di nemmeno un giorno del congedo di paternità esteso.
È interessante però notare che alcuni padri tra i 40 e i 49 anni (23%) non hanno ricevuto il supporto di famiglia e amici in questa decisione (di usufruire del congedo esteso aziendale). Questo dimostra un attaccamento agli stereotipi di genere più acuto nelle persone di una maggiore età.
Le opinioni dei padri sulla politica aziendale
Il congedo di paternità esteso è stato accolto estremamente bene dalla popolazione aziendale. Ogni padre dichiara infatti che lo riutilizzerebbe, e praticamente tutti coloro che devono ancora usufruirne (96%) dichiara che sicuramente lo utilizzerà.
Questo benefit ha aiutato non solo ad aumentare il benessere dei lavoratori, ma ha anche involontariamente alzato la retention. 1 dipendente su 3, infatti, non andrebbe a lavorare in un’azienda dove non esiste una politica equivalente, nemmeno per uno stipendio superiore.
I padri stessi si sono anche resi conto di aver aiutato notevolmente la partner nelle faccende domestiche, rendendo la coppia più equa. Inoltre, si sono resi conto di aver creato un legame più stretto coi propri figli (96%), di aver permesso una maggiore serenità alla compagna nel periodo post parto (95%) e di avere più probabilità di mettere al mondo un altro figlio in futuro (54%).
La maggior parte dei padri che hanno usufruito di questa politica dichiara che non ci sono stati rallentamenti di carriera o effetti negativi sul proprio lavoro.
Infine, per quanto riguarda le aree da migliorare, i padri chiedono un periodo di congedo più lungo (28%), più flessibilità (38%) e l’obbligatorietà nell’utilizzo.
L’estensione a livello nazionale
La quasi totalità dei padri che ha partecipato all’indagine (96%) afferma che questa estensione del congedo dovrebbe esserci anche a livello nazionale. Per più della metà di loro (54%) questa politica dovrebbe essere obbligatoria, percentuale che diventa molto più alta tanto più si abbassa l’età dei padri.
La metà dei padri ritiene che il periodo ideale per restare a casa col bambino sia di tre mesi, e 1 persona su 5 che è stata intervistata afferma che i padri dovrebbero poter avere un congedo di 6 mesi. Questo dato è condiviso soprattutto tra le donne.
Considerazioni finali su maternità e paternità
Secondo quanto emerge dal report di Tortuga, è chiaro che dei cambiamenti siano percepiti come necessari. Estendere la durata del congedo diminuirebbe sostanzialmente le differenze e gli stereotipi di genere (riguardo la cura dei figli, della famiglia e della casa).
Inoltre, aiuterebbe concretamente le madri che, ancora troppo spesso, sono costrette a ridurre o ad abbandonare il lavoro dopo il loro congedo di maternità a causa della mancanza di sostegno (nazionale o da parte del partner).
È positivo rilevare, però, che sono i padri stessi a volere un aumento della durata del congedo, soprattutto i padri più giovani. Questo dimostra che le nuove generazioni sono più propense ad avere relazioni eque e senza ruoli di genere predefiniti.
Un ulteriore passo avanti per i congedi di maternità e paternità è quello di renderli più inclusivi. I tipi di famiglie sono diversi, e spesso le più penalizzate sono quelle formate da coppie omosessuali e da genitori non biologici. Per questo c’è bisogno di riconoscere ufficialmente tutti i tipi di famiglie e di estendere anche a loro questi diritti.
Avere dei congedi equi e inclusivi non dovrebbe essere solo compito delle aziende, ma della legislazione nazionale in primis. Educare alla genitorialità deve essere un dovere. Solo in questo modo si può garantire il benessere di tutti i genitori e i figli a lungo termine, oltre a creare una società più giusta e inclusiva, senza stereotipi e diseguaglianze.
Cosa possono fare le aziende
Come abbiamo visto, le aziende hanno un enorme potere: possono decidere, in autonomia, di estendere il congedo di paternità ai propri dipendenti. Questo aiuta non solo i padri, i quali possono passare più tempo con la propria famiglia, ma anche le madri, le quali non devono così farsi carico di tutto il peso del nuovo nato da sole.
Implementare politiche a supporto della maternità e della paternità è quindi essenziale. Non solo aumenta il benessere e l’equità, ma contribuisce a far aumentare la parità di genere nella nostra società. È chiaro, poi, che queste politiche aumentino la soddisfazione e la retention dei dipendenti.
Le aziende, per aiutare i propri dipendenti, possono creare un ambiente non giudicante, dove la genitorialità è incoraggiata e non percepita come un ostacolo alla carriera. Si possono inoltre offrire supporti psicologici per i genitori (sia prima che dopo il parto), corsi di wellness, asili nido o caregivers convenzionati.
Uno dei supporti principali che possono fornire le aziende è, in ogni caso, non diminuire la percentuale di stipendio percepito in maternità o in paternità. Lo stipendio è infatti essenziale soprattutto in questo periodo della vita dei genitori, dove le spese sono tante.
Le azioni che le aziende possono mettere in atto sono molteplici, ma tutte significative. Ogni decisione presa dal management ha impatti reali e concreti sulle famiglie, soprattutto sulle donne.
Se sempre più imprese scegliessero politiche volte a incoraggiare la genitorialità condivisa forse anche lo Stato prenderebbe maggiormente in considerazione l’idea di allungare il congedo di paternità. Ogni scelta conta, e speriamo che quelle positive aumentino sempre di più.
Domande frequenti
Il congedo di maternità dura 5 mesi, quello di paternità 10 giorni. Il primo è retribuito all’80% dello stipendio, il secondo al 100%. Quello della madre è obbligatorio, quello del padre facoltativo.
Il dato principale che emerge è che i padri vogliono stare di più a casa con partner e figli, e vorrebbero aumentare a 3 mesi il congedo di paternità dell’INPS. Inoltre, stare a casa nei primi mesi di vita del figlio aumenta il legame con la compagna e con il figlio, aumentando l’equità della coppia rispetto ai doveri domestici.
L’estensione del congedo di paternità è una soluzione che farebbe diminuire il gap (in termini sia di diritti che di aspettative) tra uomo e donna. Questo aiuterebbe a cambiare il modo in cui la società vede la donna (madre) e l’uomo (lavoratore a sostegno della madre), diminuendo la disparità di genere.
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