La realtà globalizzata, l’estrema flessibilità del mondo del lavoro e una tecnologia che favorisce un fluire vorticoso di informazioni, contribuiscono in maniera determinante all’aumento di fattori stressanti nella nostra vita personale e professionale. Proprio per questi motivi lo stress è un fenomeno particolarmente studiato nella realtà organizzativa poiché non solo ha delle ripercussioni dirette sul benessere fisico e psicologico dei lavoratori, ma è stato dimostrato come abbia un impatto negativo anche in termini economici (fino a circa il 5-10% delle perdite di un’organizzazione vengono registrate in relazione a fenomeni di stress).
Il concetto di stress deriva dal linguaggio ingegneristico e fa riferimento alla capacità degli edifici di resistere alle sollecitazioni. In psicologia, si identifica come uno stato di strain imposto ad una persona da agenti ambientali, che vengono percepiti dal soggetto come una minaccia per sé e il proprio benessere. Lo stress pertanto può essere definito come lo stato psicologico e fisiologico di una persona nel rispondere alle richieste che le pone l’ambiente.
Approcci psicologici allo stress
Lo studio di tale concetto in psicologia ha coinvolto diversi autori, che hanno analizzato il fenomeno al fine di comprendere e limitare le conseguenze per la persona. Un approccio interessante è quello fisiologico (Selye, 1956), che ha identificato 3 fasi del processamento dell’evento stressante (shock, resistenza e conseguenza) le quali possono portare a:
- un adattamento capace di ripristinare l’equilibrio e permettere alla persona di giovare dell’esperienza di stress (eustress);
- un esaurimento e un’incapacità di far fronte alle sollecitazioni esterne, non riuscendo quindi a riportare una situazione di equilibrio e portando a conseguenze dal punto di vista psico-fisico (distress).
Un successivo contributo, il “modello transazionale dello stress” di Lazarus, identifica lo stress come prodotto di una serie di transazioni e processi. Il fattore stressante pone una minaccia per sé e, in base alla capacità di accettazione della minaccia, si può andare incontro ad eustress o distress. Si pone, quindi, al centro del processo il concetto di valutazione suddivisibile in due livelli:
- Valutazione primaria: la persona riconosce l’evento come fonte o meno di minaccia per il sé;
- Valutazione secondaria: se l’evento è considerato come minaccioso, la persona cerca delle risorse (tipicamente legate a credenze sul sé) capaci di aiutarla ad affrontare questo tipo di sollecitazioni, volgendo in una situazione di eustress. Qualora non fosse in grado di trovare strategie, ricadrebbe in una situazione di distress.
Il limite principale dell’approccio fisiologico e di quello transazionale è l’assenza di considerazione dell’impatto della dimensione sociale. Questa, al contrario, svolge un ruolo essenziale nella gestione dello stress, attraverso un sostegno non solo strumentale (es. risorse materiali e aiuto finanziario), ma anche emotivo e relazionale, in termini di affiliazione e di sostegno informativo (es. consigli, suggerimenti).
Identità sociale e stress
L’identità sociale riveste un ruolo di cruciale importanza poiché aumenta il sostegno sociale e trasforma la natura dell’esperienza di stress in un vissuto positivo. Come evidenzia Haslam (2015), più ci si identifica con un’organizzazione, meno si sarà soggetti al rischio di sperimentare un forte livello di distress, che potrebbe facilmente trasformarsi in un fenomeno di burnout. Lo stesso autore condusse uno studio sperimentale per indagare la relazione tra gestione dello stress e identità sociale, dividendo i partecipanti in un gruppo di guardie e in uno di prigionieri all’interno di un carcere simulato. Dopo alcuni giorni, il gruppo dei prigionieri, sottoposto ad una notevole dose di stress, sviluppò una forte identità collettiva che permise non solo di superare situazioni di difficoltà, ma favorì l’organizzazione di atti di resistenza nei confronti delle guardie. Man mano che il gruppo dei carcerati si rafforzava, il gruppo delle guardie perdeva coesione, con conseguente diminuzione dello stress per i primi e aumento per i secondi.
In conclusione, la gestione dello stress raramente dipende solamente dalle capacità individuali. Le crescenti pressioni e richieste della vita nelle organizzazioni e nelle pratiche manageriali, generano attivamente situazioni stressanti, attraverso la divisione in gruppi di lavoro autogestiti costretti a raggiungere obiettivi sempre più complessi. Perciò, a dispetto delle innumerevoli soluzioni che possono esserci per far fronte allo stress in maniera personale e soggettiva, è utile tener sempre ben presente l’importanza che l’identità sociale e l’appartenenza ad un gruppo possono avere nell’influenzare una persona e di conseguenza il relativo livello di stress.
Nicola Testa, Giulia Schena
Bibliografia
Haslam, A. S. (2015). Psicologia delle organizzazioni. Maggioli Editore.